Sesto Rocchi

1909, Italy
1991

La mia vita con la liuteria
autobiografia di Sesto Rocchi (1909 – 1991)

L’inizio fu casuale; la caduta del violino che i miei genitori mi avevano acquistato assecondando un mio desiderio. Non ebbi il coraggio di dir loro dell’accaduto.
Erano tempi nei quali non esistevano molti svaghi, specialmente nel piccolo paese di S.Polo, ed io passavo il tempo dilettandomi di lavori di traforo ed ebanisteria: in un sottotetto della casa avevo il mio ritiro.
Il giorno stesso della rottura aprii completamente il violino. Fu un azzardo ma mi riuscì di portare a termine il lavoro in modo soddisfacente: il violino riprese il suo suono! Nel contempo annotai tutto ciò che poteva interessarmi per la costruzione: gli spessori delle tavole, la catena, le controfasce, ecc.
Questa storia determinò il mio incontro con la liuteria e, così, costruii il mio primo violino. Conservo di questo il solo fondo; è appeso nel mio laboratorio e, a volte, mi viene di guardarlo e domandarmi se mi abbia creato una vita piena di sacrifici e di insoddisfazioni o di gioie e di riconoscimenti.
Nel mio cuore c’era sempre un “serpentello” che mi tormentava: – Vedi, è bello…. cosa pretendi!-
Così cominciò la lunga strada! Costruii alcuni violini ed il violinista che mi dava lezioni.mi disse che al conservatorio di Parma si era costituita una scuola di liuteria. Io capivo che, da solo, non potevo pretendere di costruire violini di un certo pregio perciò, con il consenso dei miei genitori, mi recai a Parma dal maestro Gaetano Sgarabotto, liutaio dei più rinomati.
Mi presentai al Conservatorio ed espressi con un poco di timore, il mio desiderio di essere ammesso all’insegnamento del maestro Sgarabotto.
Avevo con me l’ultimo violino che avevo costruito che feci esaminare allo stesso Sgarabotto; egli lo guardò, non espresse alcun giudizio, forse per non offendermi, ed accettò la mia richiesta.
Il corso era composto da 15 allievi dei quali, oltre a me, solo Vaccari Raffaele aveva avuto qualche esperienza in campo liutario; gli altri non sapevano né di sgorbia né di pialletto. Io e Raffaele fummo inseriti al 3° corso e, grazie alla nostra maggiore esperienza, fummo in grado di aiutare gli altri meno esperti.
Dopo essere stato accettato dal maestro Sgarabotto, ritornai a casa tutto felice ed annunciai ai miei genitori la buona notizia: mi guardarono senza mostrare un eccessivo entusiasmo poiché eravamo una famiglia modesta e questa novità poteva causare qualche spesa imprevista. Quel giorno terminò con un “ni”, grazie a mio fratello e mia sorella che erano propensi al si.
Il giorno dopo ebbi un chiarimento con la famiglia sull’entità delle spese che mi sarei trovato ad affrontare e, poiché era difficile far rientrare il soggiorno continuo a Parma nelle spese di famiglia, concordai con i miei genitori che mi ci sarei recato in bicicletta. S. Polo dista una ventina di chilometri da Parma ed a quel tempo non esistevano mezzi pubblici che li collegassero.
Grazie a questa mia disponibilità ebbi un segno di approvazione perché in tal modo non sarei stato di troppo peso alla nostra famiglia. Riuscii così a portare a termine il primo anno scolastico di liuteria anche se mi era costato sacrifici, specie nella stagione invernale.
In quel periodo incominciai a barattare in campagna qualche violino in cambio di damigiane di vino, oppure frumento o legna da ardere e poche decine di lire.
Il secondo anno di scuola fu meno tribolato: percorrevo in bicicletta tre chilometri raggiungendo Traversetolo dove salivo su di un “trenino” col quale raggiungevo Parma riuscendo, in tal modo, ad affaticarmi di meno.
In questo periodo feci la conoscenza di violinisti del Conservatorio, ai quali vendevo violini per i loro allievi. Non guadagnavo molto ma mi bastava per non pesare più sulle spese della mia famiglia.
Nel terzo anno mi stabilii a Parma in una pensione in via Borgo Riccio, poco distante dal conservatorio e dall’abitazione del M° Sgarabotto, nella quale egli aveva anche il suo laboratorio. In tal modo riuscivo a frequentare sia il conservatorio che il suo laboratorio privato. In quel periodo costruivo già violini presentabili, riuscendo a realizzare un certo guadagno; in tal modo la vita cominciò ad essere meno difficile.
Il maestro Sgarabotto costruiva molte copie di strumenti classici: si era infatti formato alla scuola Bisiach, nella quale erano di casa gli Stradivari, gli Amati e tutti i “classici” del ‘600 e ‘700. Fu un po’ come con le ciliegie! Dopo aver incominciato a scimmiottarlo a casa di nascosto mi interessai presso amici violinisti del conservatorio che mi suggerirono il nome Bisiach. Grande fu allora il desiderio di poterlo conoscere direttamente e di entrare in contatto con questi grandi capolavori dai quali traeva le sue imitazioni.
Un insegnante di violino (prof. Bergonzi) mi accompagnò a Milano dai Bisiach dove arrivai portando con me l’ultimo violino costruito. Trovai nel laboratorio i figli Giacomo e Leandrino: il padre si era recato a Venegono; guardarono l’istrumento e dissero:
-Non è male!-, io allora, timidamente, feci la grande richiesta di essere accettato quale collaboratore. Alle prime mi sconsigliarono facendomi presenti tutte le difficoltà di farsi un nome, dopo di che mi dissero:
- Va bene; se ti trasferirai a Milano col banco da lavoro e tutti gli attrezzi potrai venire in laboratorio quando vorrai e ti daremo tutto l’insegnamento possibile- .
I Bisiach mi trovarono una stanza in una pensione ma purtroppo rimasi pochi giorni; mi avevano accettato in qualità di studente ma non immaginavano che potessi fare tanto rumore. A causa di ciò dovetti lasciare la stanza.
Unitamente a Leandrino riuscimmo a trovare un ambiente a piano terra , forse un garage, pieno delle cose più disparate. Il proprietario molto gentilmente, visto che conosceva i Bisiach, lo liberò del tutto e me lo concesse in affitto lasciandomi il pianoforte. Era un ambiente lungo e stretto, aveva una larga finestra che dava una bella luce: con due tendaggi creai la zona laboratorio dalla parte della finestra , al centro la cucina e la camera da letto sul fondo. A mezzogiorno andavo in trattoria e per il resto mi arrangiavo.
Tutto ciò durò per circa sei mesi; andavo periodicamente in laboratorio per i lavori eseguiti e per i consigli ma raramente incontravo Leandro Bisiach: questo era il mio pensiero fisso!
Finalmente un giorno gli portai un violino appena finito; lo guardò attentamente e mi disse semplicemente: – non è male- , poi i figli lo chiamarono nella stanza accanto dove rimasero a parlare per un poco di tempo, infine rientrarono, lui mi si avvicinò guardandomi bonariamente e mi disse:
- So dove lavori e non mi piace ( evidentemente i figli gli avevano riferito della mia sistemazione), ti piacerebbe venire a vivere a casa mia a Venegono?- , avevo ancora il violino in mano e non so come sia riuscito a reggerlo; ero talmente emozionato che balbettai:
- Sarei tanto felice!-
- Allora siamo d’accordo! – rispose, -Trasporta tutto ciò che hai con te e parlane con i tuoi genitori. Il mio laboratorio è completo di tutti gli attrezzi utili e tanto materiale per costruire viole, violini e per le riparazioni. Io ti aspetto a Venegono. -
Non finì la settimana che ero già a Venegono dove trovai in papà Leandro e nella moglie “Mietta” un’accoglienza familiare. Mi condussero nella stanza dove avrei dormito e successivamente scendemmo in laboratorio.
- Questo sarà tutto a tua disposizione; -mi dissero, poi, visto che era già sera andai con loro a cena dove si parlò di molte cose. Così si chiuse il mio primo giorno in casa Bisiach.
Il mattino seguente, prima di scendere in laboratorio, mi accompagnò nella sua stanza, si fermò davanti ad un armadio e mi disse:
- Apri!-
Aprii e vidi, con mia grande meraviglia, cinque violini che insieme formavano quasi due secoli di storia della Liuteria: Amati, Guarneri, Santo Serafino, Stradivari, Bergonzi e Guadagnini!
Ammutolii ed egli mi disse:
- Prendili pure in mano ed osservali bene; sono stati i miei maestri ed ora saranno anche i tuoi. Questi, quando io mi dovrò assentare passeranno nella tua stanza, sei giovane e li proteggerai meglio di me. -
Chiudemmo l’armadio e scendemmo in laboratorio, dove mi mostrò i materiali stagionati di cui disponeva e mi disse:
- Quando avrai deciso quale strumento preferisci per la prima copia troveremo il legno che più si addice a quell’autore. -
Io risposi che mi sarei cimentato per primo con G.B. Guadagnini, non perché fosse di pregio minore ma mi è venuta così.
Il pomeriggio portai in laboratorio il Guadagnini e trassi tutte le misure per farne la forma interna e, dopo aver rilevato tutto il nacessario, riportai ristrumento al suo posto. Successivamente scelsi il legno più adatto e, non appena terminata la forma, segai manualmente da una grossa tavola quanto bastava per la costruzione del violino; feci due pezzi per manico e fasce e per vari giorni mi occupai di questo, in seguito tracciai con la forma i segni del contorno ed abbozzai la tavola ed il fondo in modo approssimativo.
Finalmente arrivò il gran momento del controllo da parte di Bisiach; egli portò l’originale, lo appoggiò su di un panno con il fondo rivolto verso l’alto, guardò la mia copia e disse:
- Guardalo bene prima di abbozzare ancora, fallo piano piano e riguarda ogni cosa – detto questo uscì lasciandomi solo, ritornò dopo circa un’ora, si avvicinò al mio lavoro, guardò l’originale e, segnando con la matita, cominciò ad osservare:
- Questo è troppo alto, attento a non abbassare troppo ai bordi, osserva bene la curva , controllala, – poi con le dita indicava quello che c’era da togliere e da modificare; – non avere fretta, la copia deve penetrare nell’intimo dell’esecutore; ora lavora la tavola fino a che non sia allo stesso punto del fondo. Il resto a domani. -
Dopo aver avuto queste delucidazioni, abbozzai anche la tavola e poi riportai il Guadagnini nell’armadio (chissà che cosa avrà pensato di me!).
In tal modo seguitai a lavorare per alcuni giorni per arrivare a dare al mio lavoro una certa somiglianza con l’originale. A vederlo sembrava facile ma quanto a dargli un certo senso di somiglianza non era affatto cosa semplice.
Dopo venti giorni di lavoro portai a termine il violino con tanta approvazione e tanti suggerimenti del mio maestro.
Di solito, quando al sabato ritornavano da Milano i figli di Bisiach e vedevano il mio lavoro si lamentavano col padre di non aver avuto altrettanti consigli ed egli rispondeva:
- Sesto è il mio settimo figlio!-
Rimasi a Venegono per due anni e costruii le varie copie degli strumenti che possedeva Bisiach, in più rifeci tutti i modelli che costruì Stradivari: i modelli e non le copie perché queste ultime dovevano avere tutte le caratteristiche dell’originale nel momento in cui lo copiavo, compresi i segni dell’uso.
Tanti altri violini passavano e facevano sosta in quell’armadio!

Il dopo-Bisiach
Espressi al maestro la mia intenzione di conoscere la liuteria estera; egli mi rincuorò e mi procurò un passe-partout per tutti i suoi amici sparsi in Germania, Francia ed Inghilterra che io inviai ad una decina di grandi liutai chiedendo di poter essere assunto in qualità di apprendista. Purtroppo le risposte furono quasi tutte negative e la considerazione era quasi sempre la stessa: l’andamento commerciale era molto basso ed il lavoro diminuiva ogni giorno.
In quei giorni un mio amico tedesco di Sweinfurt a.m. che era stato mio compagno di studi con il maestro Sgarabotto mi invitò a casa sua per un periodo di vacanze: vi andai e rimasi con lui per due mesi durante i quali costruii due violini ed una viola. Poi ripresi il viaggio che mi ero prefisso portando sempre con me i due violini come biglietto da visita.
La prima sosta fu a Monaco di Baviera, dove feci visita al liutaio Glas che aveva rilevato il laboratorio di Fiorini; fu molto gentile e mi volle ospite per alcuni giorni. In seguito ripresi il cammino per Stoccarda alla volta del laboratorio di Hamma, grande amico di Bisiach: fui accolto come un conoscente, mi volle a pranzo e mi lusingò col dirmi che nel pomeriggio mi avrebbe presentato parecchi amici italiani.
Naturalmente, prima e dopo il pranzo si parlò di liuteria; Hamma era un buon conoscitore dell’Italia per i suoi numerosi viaggi nella nostra penisola, effettuati anche per acquistare le opere della liuteria italiana. Terminato allegramente il pranzo mi disse:
- Ora venga con me che le presenterò i miei amici italiani! – attraversammo due stanze ed entrammo in una bella sala arredata con mobili classici tra i quali un grande armadio del ’500 alla parete; io chiesi con emozione :
- Ma gli italiani dove sono?-Egli mi porse una chiave e mi disse indicando il grande armadio :
- Lo apra! -
Eseguii l’ordine con una certa emozione ed il contenuto di quell’armadio mi fece spalancare gli occhi e mancare la parola davanti a noi c’era un grande tavolo coperto di feltro e su di esso egli posò ad uno ad uno gli “abitanti” dell’armadio: Stradivari, Guarneri, Montagnana, Amati, Ruggeri e Gagliano; per ognuno di questi capolavori mi raccontò tutte le peripezie e le circostanze dell’acquisto.
Questo spettacolo è rimasto fisso in me ed ancora oggi a volte mi appare.
Quando lo lasciai mi pregò di salutare Bisiach e l’Italia e mi baciò.
Dopo una giornata così memorabile trovai difficoltà ad addormentarmi: il giorno dopo partii per Berlino, feci visita a parecchi liutai ed, in particolare, a Strobl, il cui indirizzo mi era stato fornito da Bisiach; egli fu molto gentile con me e mi parlò di Bisiach e dei suoi acquisti in Italia, mi mostrò parecchi strumenti classici, diversi dei quali erano da restaurare. Successivamente guardò i miei strumenti, si complimentò con me osservando che erano proprio strumenti italiani e poi affermò di essere vecchio e di avere ormai bisogno di un aiuto.
Io interpretai le sue parole come un invito e gli dissi che avrei accettato volentieri di lavorare con lui; egli mi chiese se ne ero proprio sicuro ed io lo assicurai che era quello che desideravo.
Rimasi con lui un poco di tempo poi, avvicinandosi le feste natalizie, espressi il desiderio di ritornare in Italia per una decina di giorni ed approffittarne per spiegare ai miei genitori la mia decisione (della quale non furono molto contenti ). Dopo quindici giorni di permanenza in Italia scrissi a Strobl del mio prossimo rientro a Berlino e, dopo avere atteso altri quindici giorni, scrissi di nuovo ed ebbi infine la sua risposta:
- E’ con grande rammarico che non ho potuto ottenere il permesso di lavoro in Germania mancando il nullaosta del ministero dell’industria tedesco. -
Non mi diedi per vinto e scrissi al Console di Berlino il quale mi ripetè che dipendeva tutto dal ministero del lavoro tedesco e che nulla sarebbe stato possibile fare per ottenere il visto.
In tutto questo periodo di attesa ho lavorato presso la ditta Monzino a Milano.
E’ un ricordo piacevole: l’ultimo Antoniazzi era scomparso lasciando alcuni violini da finire e da verniciare; una volta terminati questi lavori ricevetti la notizia del mio impossibile rientro a Berlino.
Dopo questi avvenimenti (eravamo nel 1935) ritornai a S. Polo e cominciai una vita molto attiva di costruzione e non pensai più ad altro.
Reggio e Parma erano due città di un certo prestigio nel campo violinistico ed io godevo di una certa stima presso parecchi violinisti di questa area; questo fatto, unitamente al bagaglio di esperienze che avevo potuto fare, mi consentì di trovarmi in condizioni abbastanza favorevoli per il mio lavoro e di iniziare una buona carriera.
Nel 1937 mi giunse un invito dalla città di Cremona per partecipare ad un concorso per quartetto in occasione delle manifestazioni in onore del bicentenario stradivariano: mi entusiasmai e decisi di parteciparvi. In quei giorni pensai tante cose; forse volevo strafare e mi venne l’idea di copiare il quartetto che Stradivari costruì nel 1690 per la famiglia Medici di Firenze.Il problema consisteva nel riuscire ad avere i modelli e per questa ragione mi recai a Firenze dove, al conservatorio, incontrai il prof. Damerini, una mia vecchia conoscenza del periodo nel quale avevo frequentato il conservatorio di Parma: egli si ricordò di me e si offrì di aiutarmi ed infatti, non appena gli ebbi spiegato le ragioni della mia presenza in quel luogo, mi accompagnò nella sala dove venivano custoditi gli strumenti “medicei”.
Del quartetto realizzato da Stradivari erano rimasti, purtroppo, solamente il violoncello e la viola; gli altri due violini erano spariti nel nulla!!
In ogni caso mi accinsi al lavoro di preparazione dei calchi, grazie all’interessamento del prof. Damerini che mi concesse tutto il tempo che volevo per realizzare il mio lavoro, raccomandandosi alla mia esperienza che non succedesse nulla agli strumenti. Lo ringraziai di cuore, incominciai nel pomeriggio e nei due giorni seguenti trassi dagli strumenti tutto quello che mi interessava.
Ritornai a casa ed il giorno dopo mi recai a Milano per l’acquisto del materiale necessario per realizzare l’opera: trovai il legno che mi piaceva e nei giorni successivi trassi dai modelli le forme atte alla costruzione.
Guidato dalla gioventù e dalla spensieratezza non prestai troppa attenzione al regolamento del concorso e costruii i miei strumenti rispettando i modelli originali, impiegando due mesi di intenso lavoro ad un ritmo di 12 o 13 ore di lavoro al giorno.
Finalmente, cinque giorni prima dell’apertura del concorso, trasferii gli strumenti finiti a Cremona!
Essi furono accettati per la mostra ma non per il concorso perché la viola ed il violoncello erano fuori regolamento per quello che riguardava le misure. Fu questo giorno il più triste della mia vita! Nello stesso anno mi sposai e i vari impegni a ciò connessi e sopratutto l’avvicinarsi della guerra non davano certo tranquillità ed il lavoro cominciò a scarseggiare; oltre a ciò si profilava il pericolo di essere richiamati alle armi. Ciò avvenne, infatti, il 4 Ottobre 1939 costringendomi a lasciare la famiglia: riposi tutto ciò che poteva essere utile al mio lavoro, compresi strumenti, attrezzi, modelli, ecc. in uno scantinato e chiusi con un muro. Erano momenti molto difficili. La fortuna mi ha protetto e dopo quattro anni sono tornato a casa. Dopo alcuni giorni dal mio ritorno aprii il mio nascondiglio e si presentò ai miei occhi uno spettacolo molto doloroso: gli strumenti erano tutti scollati, i modelli irriconoscibili, l’umidità e la mancanza di aerazione avevano rovinato tutto. Parlare di liuteria in quei momenti sarebbe stata un’eresia! Avevo moglie e figli e, pertanto, dovetti collaborare con mia moglie per poter condurre una vita decorosa.
Finalmente nel 1949 cominciai a rifare le forme ed i modelli resi inservibili dall’umidità e nel 1950 ricominciai a lavorare alla sera fino a tarda ora: gli strumenti che costruivo, però, non erano più quelli di un tempo ma ostinatamente continuai.
La guerra si allontanava piano piano nel ricordo e nella gente ritornava ancora la voglia di vivere; gli strumenti miglioravano ed io incominciavo a respirare.
Nel 1952 partecipai al concorso dell’accademia di S. Cecilia ottenendo una medaglia di bronzo: non meritavo altro!
Nel 1954 partecipai ancora ed arrivai all’argento. Nel 1956, infine, ottenni il primo premio assoluto per il violino ed il premio speciale per l’acustica. Nel 1966 vinsi al concorso di Liegi. In tal modo ritornai con pieno diritto alla vera liuteria.
Liegi significò, con il mio riconoscimento, che la liuteria italiana era ancora viva e vitale.
Il riconoscimento internazionale creò in me il desiderio e l’orgoglio per la liuteria italiana e mi portò ad una grande volontà di proseguire tutto ciò che mi desse un segno costante di miglioramento. In tutti i miei lavori c’è una voglia di superamento e di riportare ancora la liuteria italiana al ceppo originario dei nostri grandi predecessori. Il mio lavoro era semplice e si notava che era diligente, finito bene, ma non lezioso in tutte le sue componenti.
In questo periodo costruii le copie Amati, Guarneri, Guadagnini, Santo Serafino e Stradivari.
La dimestichezza coi violini e modelli di Stradivari mi portò ad una scelta decisiva che si riscontrerà nei miei lavori. Non abbandonai più Stradivari, l’artefice che più ho amato. Ne costruii tutti i modelli (dal 35.5 al 35.8 al 36.2 al 35.4), a parte il celebre quintetto mediceo, ma anche l’Alard, il Messia e tutti i modelli, compresi i suoi esperimenti sui violini, prima di individuare il modello perfetto, in quanto ad acustica e bellezza stilistica, nel violino 1715, che raggiunge la vera perfezione di giuste proporzioni.
Di questo modello feci la gran parte dei miei strumenti.
Nel lavoro stradivariano ogni strumento, anche nelle piccole imperfezioni, mostra sempre la mano dell’artigiano e non dell’ebanista. Ho sempre tenuto come maestro Stradivari, cercando però di esprimere la mia personalità senza mai pretendere di fare uno Stradivari.
Il premio di Liegi del ’66 fu il trampolino di lancio per il mio inserimento nella liuteria internazionale. La conoscenza e la frequenza di incontri con i più rinomati liutai diedero più spinta alla mia insaziabile ricerca sempre del meglio. Ebbi l’onore di appartenere all’Associazione Internazionale dei Liutai d’Arte, con sede a Ginevra, della quale divenni nel 1983 il Presidente.

source: personal website

services

has made instruments vln, vla, vlc
restores instruments vln, vla, vlc

browse galleries and press on images to enlarge
back
Donate

Copyright © 2024 dbStrings - realized by UbyWeb&Multimedia with uwAdmin
*/ ?>